Sono le 19.20, e ho la fortuna di sedere da sola su una terrazza, su un tetto, a Melaka. Sento i grilli, un gatto che piange, e i gabbiani; c'è luce di crepuscolo, di fronte a me c'è una vecchia casa coloniale, restaurata: architettura portoghese, color indaco, e con caratteri cinesi in rosso brillante, sulla facciata.

È appena cominciata la chiamata alla preghiera nelle moschee della città: una è vicinissima, vedo il minareto bianco e il tetto verde, che da lontano sembra quello di una pagoda di un tempio cinese. Da lontano, si sente la 'risposta' delle altre moschee. 
È una religione che crea molte controversie, questa, però alcune cose le apprezzo, come l'architettura, la cultura decorativa (fin da bambina mi piacciono le foto degli arabeschi), sono curiosa del sufismo, e da quando ho abitato a Istanbul, mi è rimasta una strana relazione con la chiamata alla preghiera. Anche lì si mischiava al rumore dei gabbiani.
All'inizio, vivendo ad Istanbul, la prima chiamata mi teneva sveglia, o mi svegliava, a seconda di se ero uscita a far festa, e non mi piaceva, mi infastidiva. Poi mi sono abituata, e da allora, ogni volta che la sento, mi piace fermarmi, sedermi e starla a sentire. Sarà che mi riporta ai tempi istanbulioti, e alla città che, come dico sempre, mi ha prima rimesso in sesto, e poi rivoltato la vita come un calzino, portando sulla mia strada tante persone che amo. Soprattutto una.

Melaka è magnifica, turistica, certo, ma bella. Bella architettura, e cibo gustosissimo, ricco di spezie, come in molte parti della Malesia, del resto. Malesiani gentilissimi, amichevoli, chi lavora nel turismo e chi no, tutti: dopo il Vietnam è un toccasana, per certi versi, anche se ovviamente mi mancano il caffè e le baguette in stile francese! Volevo venire a Melaka da tanti anni, precisamente da quando ho letto il libro di Terzani, Un Indovino Mi Disse, nel quale viene a Melaka, famosa per essere una città 'stregata'. Alla mia prima puntata malese non avevo avuto tempo di venire, ora sono qui e sapete una cosa? Non sono affatto delusa. È turistica, ma ci sono ancora un po' di stradine dove gocano i bambini e dove i nonni prendono aria nel cortile, tenendoli d'occhio. Basta cercarle.

Qui una foto da Richard-seaman.com, che esemplifica bene la ragione del mio innamoramento istantaneo per questa sonnolenta cittadina turistica assai:



Ormai sono in pieno trip cinese. L'Asburgico ride sotto i baffi perché lui ci è passato dieci anni fa circa, io in questa città famosa per l'architettura coloniale impazzisco con i templi buddhisti e le case della zona cinese, come quella che vedete sopra. Se ci sono i caratteri e le lanterne, io sono contenta come una cretina. A Melaka ci sono sia il tempio buddhista cinese più vecchio del sud est asiatico, sia la chiesa cattolica più vecchia della regione. Ma la vedete questa casa qui sopra? È un'insalata di architettura coloniale e cinese. Io sono innamorata ormai! E destinata alla delusione, se mai andrò in Cina, perché lì le cose vecchie le abbattono, mi dice l'Asburgico. 
Comunque.

Oggi ho aiutato tre studentesse che dovevano intervistare dei turisti per i compiti di inglese: ragazzine  di tredici anni o quattordici, due malay, viso da luna piena incorniciato da un velo colorato, e la loro amica, indiana, in jeans e maglietta, in brodo di giuggiole quando le ho detto che da quando sono qui mangio indiano almeno una volta al giorno, e che in Vietnam abbiamo mangiato indiano ogni volta che abbiamo trovato un ristorante. È piacevole aiutare gli studenti dato che non sto lavorando, l'ho fatto anche in Vietnam e a Taiwan: qui però il livello di inglese è molto piú alto, e quindi interessante per fare domande alle ragazze. Anche a Saigon erano più bravi che nel nord del Vietnam.

Mi ero dimenticata di quanto mi piaccia la Malesia. Un posto che era un sultanato, che poi è stato portoghese, olandese ed infine britannico, per poi diventare indipendente. A causa della sua storia, oltre ai malesiani, musulmani, ci sono anche moltissimi cinesi, buddhisti -- credo il 40% della popolazione -- e molti indiani del sud dell'India, che a detta di M sono generalmente più gentili di quelli del nord. 
Il risultato è una nazione multiculturale, dove tre grandi religioni convivono, dove molta popolazione è bilingue o trilingue. 
In Malesia, puoi svegliarti e fare colazione cinese con tofu e yo tiao (frittura malsana e deliziosa), pranzo malesiano con una laksa, zuppa a base di latte di cocco, piccante e buonissima, e cena indiana, vegetariana o vegana, o con carne, come ti va. A KL abbiamo pranzato in un ristorante di indiani del sud, per un piattone vegetariano (thali) e due tè masala abbiamo pagato poco più di tre euro, in due.

Ma come si fa a non adorare un posto del genere? A me dà speranza, un paese dove incontro gruppi di ragazzine come quelle di oggi, che sono amiche nonostante le religioni diverse, e che vanno a scuola, e che sono libere di uscire e intervistare i turisti per i loro compiti.

Mi piace il Laos, mi piace il Vietnam che ha paesaggi stupendi, mi piace moltissimo la Thailandia, a nord, e che è stata il mio primo approccio all'Asia, tanti anni fa. Ma la Malesia, io adoro la Malesia! 
Se state pensando di andare in Asia, ma non sapete dove cominciare, venite qui: è sicura, è organizzata, e in un solo viaggio potrete conoscere tre tradizioni religiose, culturali e culinarie differenti. In questo, alla Thailandia bagna proprio il naso, la Malesia. Giuro che non mi paga l'ente turistico malese, è proprio che io la Malesia la amo! La amo proprio. La Malesia, e i malesiani.

Domani siamo ancora a Melaka (Malacca, in italiano) e poi via a George Town, nel nord, da cui aspetto grandi cose. Spero non mi deluda, è che la mia amica P la ama tanto, e mi sembra di capire che abbiamo gusti simili. Vediamo, dai.
A chi serve la ice mocha di Starbucks, costosa e multinazionale, quando puoi avere il cà phê sữa đá, (pronuncia, tipo cafè sudá) il caffè freddo con latte, per strada, per 30 centesimi a bicchiere? Ecco una diapositiva del caffeo in questione, dal blog whiteonricecouple.com, scattata a Da Nang. Io ho sviluppato una certa dipendenza. Quello che lo rende speciale è il latte dolce che ci mettono, che lo rende cremoso e gustoso. Lo preferisco ghiacciato, caldo rende solo se si usa ottimo caffè. Dove fanno questo caffè, spesso, nel nord almeno, preparano anche un ottima cioccolata con ghiaccio. La migliore l'ho bevuta in un caffè di Hanoi dove andava anche la Catherine Deneuve, quando era ad Hnoi a girare il film Indochine. Ecco la foto del caffè.


Le pedine che vedete di fianco al bicchiere sono quelle degli scacchi cinesi, un'istituzione a Taiwan, e Vietnam. Si gioca per strada, si gioca al caffè (in Vietnam) e si gioca rapidissimi. Si gioca anche al tempio, come nel tempio di Ngoc Son, ad Hanoi (foto di 33avenue.com, le mie sono ancora da scaricare :) )


I vietnamiti sono molto fieri della loro cucina, come anche del loro caffè. Quindi, nei loro negozi, vendono un sacco di magliette in tema, come quella che ho comprato io, disegnata dai ragazzi del Papaya shop, dove ogni giovane che ama il design dovrebbe recarsi, in caso si trovi ad Hanoi, Hoi An o Saigon. Non vedo l'ora di sfoggiarla in Europa!




Sono ancora viva!
Nonostante, negli ultimi dieci giorni:

*mi siano saltate le immersioni che attendevo con ansia da un po' per un raffreddore;
*il mar della Cina mi abbia smutandato con un'onda potente (nessun testimone, per fortuna);
*nello stesso mar della Cina, sia stata attaccata da una medusa che mi ha lasciato tre segni rossi e giganti sullo stinco destro;
*sia caduta da un banco di sabbia;
*sia scivolata dalle scale perché le mie infradito sono troppo lisce e bagnate sono letali;
*abbiamo trovato un tifone sulla nostra strada (e con i due a Taiwan fanno tre in due mesi. Mo 'bbasta!!)

Pericolosi, il mar della Cina e i suoi dintorni, eh? 

Ah, e l'Asburgico è caduto in una siepe. Davvero!

E il mio iPod è rimasto spiaccicato nella porta di una cassaforte. Davvero, anche questo. Ora on ho musica. E viaggiare senza musica è orribile, perché devi ascoltare il pop vietnamita, o altri viaggiatori e le boiate che dicono. (Sono solo misantropica perché uffa, come si fa a schiacciare un ipod dentro una casaaforte? E come mai il mio iPod si muove??)

Ora sono a Saigon e domani abbiamo un volo per la Malesia: Cambogia rimandata a quando non piove che dio la manda. Della serie, fuga dal tifone. Mi sento un poco idiota, a poche ore dal confine cambogiano, a prendere un aereo: ma devo fuggire i tifoni. E le piccole sfighe, anche. Magari la sfiga è piú lenta di un aereo ma piú rapida di un autobus?

Riassumendo al volo: il Vietnam, che è lungo lungo, come l'Italia, è iper-cinese a nord, e sempre piú sud est asiatico man mano che si arriva a sud. Lo si vede anche nell'aspetto della gente, pelle piú scura, visi meno cinesi. 
Il cibo del nord mi piace piú di quello del sud.
Ho mangiato per strada per un mese di fila e non sono mai stata male. Lo stesso a Taiwan. Dunque, p il mio stomaco ormai è foderato di amianto, o le bancarelle sono più pulite di quelle in Nepal cinque anni fa.
Le donne vietnamite spesso sembrano pronte a rapinare una banca: cappello conico, maschera che copre il viso, occhiali da sole, guanti e calzini con spazio per le infradito. E tutto per restar chiare di pelle... Io suggerirei la crema solare, come altrove, ma no. Meglio sembrare la cugina di Butch Cassidy.
A Saigon alcune donne sono vestite davvero da scostumate, per i canoni asiatici, ma Saigon è famosa per essere la città del vizio. Durante la guerra, l'ultima, alla vittoria del Nord i francesi commentarono dicendo "Hanoi, la prude, a gagné sur Saigon, la pute." Direi che non serve traduzione, no?
A detta di M, e io sono d'accordo, le vietnamite sono le gnocche del sud-est asiatico. Gli uomini magari no, ma di certo migliorano andando verso sud.
Anche in Vietnam, va di moda girar per strada in pigiama. L'ultima, una signora di mezza età oggi, sul bus, curiosa che costantemente ci fissava, regalmente vestita in un pigiamino di finto raso con orsetti e scritte che dicevano dormi bene e sogni d'oro. La mia teoria è che molte donne usano completi pantalone e casacca molto morbidi e pieni di fantasie, adatti al caldo, che somigliano ai nostri pigiami estivi. Quindi, in Vietnam, pigiama o completino è lo stesso.
I vietnamiti sono gentili, specie quelli che non lavorano con gli stranieri per vivere.
I bambini sono letalmente patatoni, come a Taiwan, Messico e Perú (i paesi dove più spesso mi soo trovata a pensare oddiogucigucigúúú, con aria idiota.)

Il Vietnam è anche pieno di italiani. La mia teoria è che è agosto, e scommetto una pannocchia che spariranno tutti nella prossima settimana. Quella dell'Asburgico è che ci sia stata un'offerta all'Esselunga. Lo dico perché tra Nepal, Malesia, Thailandia, Laos e Singapore (tra il 2008 e il 2011) e poi in nove mesi di Latinoamerica tra 2012 e 2013 (Messico escluso), di italiani in gita ne ho incontrati pochi. Così pochi che me li ricordo: due ragazzi a Kathmandu, una famiglia allo zoo di Chiang Mai, una coppia in Cile. Gli altri, tutti italiani emigrati come me. Quindi oramai avevo deciso che gli italiani non viaggiano... Il Vietnam è il primo posto dove ne ho sentiti una marea, anche di mezza età. Molto strano. Molto strano è anche come, se capita che ci devo parlare, gli parlo in inglese, con M che mi guarda come se fossi crétina, giustamente. Gli italiani in questione non se ne accorgono, perché oramai di italiano ho poco di riconoscibile, dato che non ho accento e mi vesto con gli straccetti indiani. Non sono mai stata di quelli che i connazionali li evitano, a meno che non siano orrendi. Ma sto sviluppando uno strano blocco. Sarà perché non lo parlo mai, l'italiano? Mistero.

Una cosa che non c'entra nulla col Vietnam, ma che sembra essere diventata una costante,  è che ci scambiano tutti per francesi, con M che fa sgrunt perché gli stanno vagamente sulle balle. Questa è una novità di questo viaggio, cioè da quando ho smesso di essere bionda. Prima indovinavano tedesca o olandese (malamente, perché sono bassa e ci ho il nasone, non corrispondo allo stereotipo!) Ora francese. Mistero. Sarà il naso(ne)?

Ora vado a leggere. Sto leggendo Un Altro Giro di Giostra di Terzani, da anni lo volevo leggere, ma dato il tema in tanti mi avevano detto di evitarlo. Ora è un buon momento, lo leggo alternando la lettura con altro. È difficile, mi fa pensare molto a mio padre, e a come farei tante cose diversamente, ora che non sono una sbarbata impaurita. Magari ora sarei solo impaurita, ma più coraggiosa. Uff. È che queste cose non si possono cambiare, ma leggere la testimonianza di un malato di cancro mi fa pensare, e mi fa pensare anche di essere stata immatura, inadeguata e pessima. Mi dico anche che avevo poco più di vent'anni e che ero convinta che mio padre ce l'avrebbe fatta, perché non avevo mai perso nessuno, prima... Però a volte non mi piace, non mi piace come sono stata, avrei voluto essere più forte, e ora non posso far niente per cambiare questo.

Non volevo essere pesante, eh, solo che è il mio blog e se ho voglia di scrivere un paragrafo peso mimetizzato nelle minchiate è giusto farlo. Aiuta a levarsi un peso, magari.

Vado a leggere, appunto. A presto!
Sono in Vietnam, sto bene, sono pigra, il cibo è buono, il caffè tra i più buoni che abbia mia bevuto, la gente gentile, quando si esce dalle zone turistiche (altrimenti il sorriso non è proprio la loro specialità, e se arrivi da Taiwan ne risenti.)

Amo l'Asia. La amo proprio. Il mondo cinese intravisto nell'ultimo mese e mezzo mi ha affascinato, e il Vietnam sembra essere l'elemento che lega quello al sud-est asiatico di Thailandia, Laos e compagnia bella. C'è un bel mix culturale, è molto affascinante, un po' sembra la Cina, dice M., e un po' è una cosa a sé. Non lo sapevo, ma il Vietnam è stato cinese per mille anni, e ce ne sono tracce nei visi delle persone, negli abiti cerimoniali, e nell'uso pervasivo della calligrafia come decorazione di qualsiasi cosa, calligrafia di caratteri cinesi, intendo.

Oggi ho visitato due pagode, vari templi buddhisti, e mi sono persa nei vicoli di Hué, Vietnam centrale, con i bambini che giocano, i polli a piede libero, i vecchi in pigiama che ti sorridono, altri vecchi che giocano a scacchi cinesi, i monaci con la tonaca azzurra che passeggiano, i cani che dormono, i caratteri cinesi qua e là, usati come ornamento sulle entrate delle porte delle case, e una quantità incredibile di piccoli caffè, sparsi ovunque. 
Il tipico caffè vietnamita ha seggioline o sgabelli di plastica bassi, tavolini bassi, di plastica pure loro, e serve un caffè ghiacciato che risveglia i morti. Anni fa mi piacque il caffè in Laos, e questo è pure migliore. Lo bevono con un piccolo strato di latte condensato sul fondo, che tu devi rimestare col cucchiaino finché non si mischia al resto, e un sacco di ghiaccio. Buonissimo! Cercherò di comprarmi un filtro per farlo così, prima di partire.

Ieri ho visitato la ex cittadella imperiale, bellissima. Qui i tetti delle pagode li decorano con piccole piastrelle di ceramica, che ricordano gli azulejos portoghesi o spagnoli, ma che vanno a formare un dragone.
(Onthegotours.com)
Hué è davvero bellina e pacifica, dopo il casino di Hanoi è un toccasana: e non devi lavarti i capelli ogni 24 ore. Ad Hanoi l'aria era orribile, ero sempre coperta da una cropa di fumo cittadino e sudore. Bleah.

Ormai sono arrivata alla conclusione che possono piacerti sia l'America Latina che l'Asia, per ragioni diverse. Ho amato la Turchia per il suo essere un'insalata culturale. Andassi in Medioriente o Nordafrica, o in Africa da qualche parte, mi sa che troverei qualcosa da amare pure lì. 

Il mio cuore musicale resta abbastanza non asiatico, invece, e ho fissa in mente questa canzone di Ana Moura, la fadista portoghese. Voglia forte di andare in Portogallo, appena torno in Europa. Ormai siamo allo stadio cronico di wanderlust: pensare a dove vuoi andare quando il viaggio gigante che stai facendo sarà finito. È una dipendenza grave!

È buffo attraversare il Vietnam e le sue risaie e le sue colline e grandi fiumi con musica come questa nelle orecchie! Ma ho sempre pensato che questo fosse il lato buono della globalizzazione: il dare accesso alla varietà del mondo (sperando che questa, però, non venga distrutta nel frattempo, dal lato negativo della globalizzazione stessa.)